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Le attività lavorative

Greci è un piccolo paese, fa parte della provincia di Avellino e confina con la Puglia. Il suo territorio è sostanzialmente montuoso anche se l’agricoltura è stata ed è l’attività prevalente degli abitanti. E’ l’unica comunità albanofona della Campania poiché, nella seconda metà del 1400, divenne dimora di Albanesi arrivati al seguito di Skanderbeg, i quali ripopolarono un centro preesistente e molto antico, probabilmente di origine greca. Nel corso dei secoli, i vari signori feudali di Greci ne sfruttarono e smembrarono talmente tanto il territorio da far ridurre a un povero casale quella che prima era una “città”. La pastorizia e l’agricoltura sono state da sempre le attività principali del paese, mentre un’occupazione tipicamente femminile era l’arte del filare. Ogni donna sapeva cucire, rammendare, ricamare, lavorare a maglia e a uncinetto, ma un’abilità ancora più preziosa era quella di usare il fuso. La lana tosata dalle pecore era sempre molto sporca, così doveva essere portata allo scardalana insieme a un po’ di olio che veniva utilizzato per impregnarla leggermente quando veniva lavorata con un attrezzo che la liberava dalle impurità. Ne venivano fuori degli ammassi lunghi quasi un metro e spessi un dito. Da questi amassi iniziava il lavoro delle filatrici che con fuso, “boshti”, dovevano trasformare quel materiale grezzo in un filo di lana continuo e sottile. Questo filo, che man mano si avvolgeva attorno al fuso, doveva infine formare un gomitolo, “jemshi”. I colori possibili erano solo il bianco, il nero e il grigio, dipendeva dalla lana portata allo scardalana; se questi ne mischiava di bianca e nera già nel suo attrezzo, si poteva appunto ottenere lana grigia. Con la lana le donne realizzavano di tutto, dagli indumenti intimi alle coperte.

Le abitazioni

L’abitazione destinata ai più poveri di Greci era la “haliva”, costruita in pietre e col tetto in legno e tegole. Era generalmente formata da un unico ambiente che doveva fungere sia da abitazione che da ricovero per gli animali. La Halive erano molto basse e normalmente addossate l’un l’altra. Quelle ancora intatte sono vicine al Breggo, la collinetta-giardino di Greci, ora disabitate e abitate a ricovero si piccoli animali. Oltre alle dimore dei poveri c’erano le abitazioni dei massari, degli artigiani, e degli allevatori, in genere a due piani e distribuite per tutto il paese; infine, al centro, sorgevano i palazzi signorili, a più piani e col cortile interno. Il pavimento delle Halive era di terra battuta “botta”, quelle delle altre abitazioni era o di pietre, “hizhat” o di mattonelle in cotto. Per decorare le facciate dei palazzi più belli, venivano assunti abili scalpellini di Greci, capaci di lavorare la pietra in modo artistico e di realizzare portali, colonnine, spigoli e davanzali. Quasi ogni casa aveva come protezione contro i malintenzionati una trave di legno “varra” dietro la porta d’ingresso, fissata ai due muri laterali e tenuta ben salda all’uscio con un’altra asse, “ceppa”, inserita in verticale tra la trave e la porta. Le case di Greci erano normalmente fatte con pietre raccolte in campagna, che servivano per i muri maestri, e con mattoni, utilizzati per le separazioni interne.

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Le Festività

Gli abitanti di Greci, sono tutti concordi nel ritenere che in passato il senso e il gusto della festa erano molto più forti di oggi. Ogni occasione era buona per tirar fuori il grammofono o la fisarmonica ed organizzare o improvvisare serate danzanti. Quando si ammazzava il maiale, si facevano “tavolate” per 15-20 persone, ed il pranzo si concludeva inevitabilmente con canti e balli. Il periodo di Carnevale cominciava a S. Antonio Abate, il 17 gennaio e si concludeva il martedì grasso con una sfilata in maschera; generalmente si inscenava un vero e propri corteo nuziale, i cui partecipanti erano donne vestiti da maschi e uomini vestiti da femmine. A “Carnevaletto” (la domenica che seguiva il martedì grasso) il gioco più consueto era quello di rompere la pignatta, “poçia”.

Il matrimonio era un’altra occasione per far festa con parenti e amici. I matrimoni tra ceti sociali diversi non erano visti di buon occhio, in tal caso i fidanzati spesso ricorrevano alla “fuitina”. La fuga era scelta anche quando i due giovani provenivano da famiglie povere, che non potevano permettersi nessuna festa o quando la ragazza non era consenziente. Quando il fidanzamento era in atto, i due giovani non potevano mai stare da soli; la cosa più romantica era la serenata sotto il balcone di lei, al suono di organetto, violino o chitarra. Lo sposo doveva dare alla futura moglie la casa in cui avrebbero abitato (di proprietà o in affitto) mentre la sposa pensava ai mobili e al corredo.

Prima di parlare delle festività religiose di Greci, è bene fare una premessa importante. In Greci si è perso il tiro greco-ortodosso cattolico, che dalla fine del 1600 in poi è stato fortemente represso dalle autorità civili religiose. In Natale era ed è celebrato senza abitudini o riti particolari e diversi da quelli della tradizione cattolica. Il mercoledì delle ceneri segna l’inizio della Quaresima. Il giorno della Domenica delle Palme, come ora, si raccoglievano i ramoscelli di ulivo e si faceva una processione dalla chiesa S. Bartolomeo a quella della Madonna del Caroseno, dove le “palme” venivano benedette. Il giovedì santo, in chiesa, si coprivano le statue e l’altare con dei teli e si “legavano” le campane che, in segno di lutto, non dovevano suonare. Per richiamare i fedeli alle funzioni religiose, gruppi di ragazzi giravano per il paese facendo suonare a tutto spiano gli unici strumenti consentiti: “trik-trakët”, “gërigërat” e “gargashunat”. Sempre il giovedì santo, all’altare del Crocifisso della chiesa madre, si portava il “sepolcro”, “sbulkë”. Le donne, tempo prima, seminavano in cassette tenute al buio, ceci, grano, granone, piselli e cicerchie; le cassette con le piantine germogliate da poco venivano appunto portate in chiesa. In fondo era quasi una gara a chi faceva il “sepolcro” più bello. Quando le piantine erano tolte dalle cassette, potevano essere distribuite ai contadini che le spargevano sui campi per benedirli e assicurare un buon raccolto. Il venerdì santo si faceva e si fa per le vie del paese la Via Crucis con figuranti veri, che in costume impersonavano i vari personaggi della Passione. In tale giorno, ancora oggi, si intona in chiesa un antico canto religioso arbëresch, la “Kalimera”, che su un motivo triste e monotono, rievoca la passione di Cristo. Verso sera è consuetudine fare anche una breve processione con le statue della Madonna Addolorata e del Cristo Morto. Il sabato santo, alle undici, mentre le campane “scampaniavano” a distesa, si potevano scoprire le statue velate e l’altare. A quel suono, udibile dappertutto, in paese e in campagna, ci si inginocchiava e si chinava il capo in segno di rispetto verso Gesù Risorto. Se si avevano bambini piccoli, venivano presi in braccio e dondolati, imitando il movimento delle campane. Il giorno di Pasqua, mentre le campane suonavano di nuovo a distesa, i contadini in campagna scuotevano con un bastone le viti e le altre piante, come per benedirle.

La Madonna del Caroseno e San Bartolomeo

La festa religiosa della Madonna del Caroseno (a giugno) trova il momento più “forte” nella processione. Mentre la statua, conservata ora nella chiesa madre, con la veste delle giornate importanti (quella donata dalla regina Maria Cristina di Savoia) sfila per le vie del paese, i balconi sono abbelliti stendendovi sopra drappi, copriletti lavorati a mano e lenzuola ricamate; in certi spiazzi si preparano altari decorati con piante, fiori e oggetti sacri. In passato addirittura si pagava per avere l’onore di portare in spalla la statua della Madonna; accanto ad essa c’erano anche le statue di S.Vincenzo e S.Nicola; le suore preparavano dei cesti ricamati, riempiti con petali di rose, ginestre e fiori di campo, tenuti in mano dai bambini in fila; altri bambini si vestivano da angioletti, con tanto di ali; la processione usciva due volte, la mattina alle 10,30 e il pomeriggio alle 16,00. Sia in passato che ora, le offerte sono cucite sul vestito della statua della Madonna, protetta da un bel baldacchino, e non mancano le bandiere e il gonfalone, lo stendardo con l’effige di Maria. La festa più importante di Greci è quella di San Bartolomeo, il patrono del paese, che ricorre il 25 agosto. In passato, la “commissione per la festa” comperava un asino (l’asino di S. Bartolomeo) nel periodo della trebbiatura e girava con esso per le vie del paese e per le campagne al fine di raccogliere grano in dono. Finita la raccolta, venivano venduti sial il grano che l’asino (aggiudicato in un’asta al migliore offerente) per finanziare i festeggiamenti programmati. Il 23 agosto arrivava la banda che si esibiva di pomeriggio, per le vie del paese e, di sera, sulla “cassa armonica” allestita a Piazza Umberto I. Il 24 di agosto si faceva la processione, durante la quale la statua del santo si portava dalla chiesa madre a quella del Caroseno. Il 25 agosto, di mattina, c’era prima di tutto il mercato e la fiera del bestiame, poi si partecipava alla messa e alla processione. Questa durava molto tempo perché chi vi prendeva parte, sacerdoti, fedeli, confraternite e banda, faceva una lunga sosta per assistere a metà mattinata, alla Rappresentazione del Dramma del Martirio di S. Bartolomeo (scritto dall’Abate Luigi Lauda), sul palco preparato vicino alla chiesa della Madonna. Gli attori erano abitanti di Greci, abbigliati con costumi d’epoca, che guidati da un regista-organizzatore, avevano provato la recitazione per circa un mese. Dopo il dramma, si concludeva la processione, riportando la statua del stano alla Chiesa madre, e finalmente si poteva gustare il pranzo della festa. Nel pomeriggio, la banda ricominciava a suonare per le vie del paese e poi si svolgeva il palio, davanti alla chiesa della Madonna. Consisteva in vari giochi (corsa dei sacchi, sfide, corsa dei cavalli…) e soprattutto nella gara del “palo della cuccagna”. Su di un alto palo di legno, venivano sistemati prosciutti, formaggio, liquori, ecc. bisognava arrampicarsi lungo di esso e vinceva chi riusciva anche solo a toccarne la cima; l’impresa era resa molto difficile dal fatto che il palo veniva spalmato di grasso, che lo rendeva estremamente scivoloso. Di sera, la banda si esibiva in piazza e la festa si concludeva con i fuochi pirotecnici. Oggi, escludendo la questua con l’asino, il paio e la durata complessiva, i festeggiamenti in onore di S. Bartolomeo sono sostanzialmente simili, compreso il dramma, inscenato due volte il 25 agosto, durante la processione della mattina e poi di sera.

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